Con
la legge di bilancio è stata approvata la cosiddetta "flat tax", l’imposta fissa
per i grandi patrimoni per attrarre ricchi nel nostro paese. A quale
scopo? Per comprendere il modo di pensare che ispira questa norma bisogna
ascoltare le parole di Flavio Briatore, il quale ha commentato “Finalmente
una legge che serve a fare arrivare in Italia un po' di gente ricca. Farà
girare soldi e lavoro”. Il milionario aggiunge sprezzantemente: “in Italia di
poveri ce ne sono già abbastanza e a quanto mi risulta non hanno mai creato
lavoro”. Ovviamente egli non è
certo un giudice imparziale sul tema, tuttavia non ha fatto che esprimere in
modo forse un po’ più urtante ciò che viene spacciato dagli opinionisti dei
quotidiani e dai media come verità indiscutibile. L’idea, cioè, che il
capitalista “crei lavoro”. È un’idea che ha avuto particolare successo in
Italia dall’inizio della carriera politica di Berlusconi, i cui sostenitori,
per giustificarla, solevano dire: “ha creato milioni di posti di lavoro” in
contrapposizione a una “casta” politica descritta come parassitaria. Questa
idea era alla base anche delle privatizzazioni dei governi di centrosinistra e della
precarizzazione del lavoro, che avrebbe dovuto, a loro dire, indurre ad
assumere e attrarre i capitali esteri. Eppure, nonostante tutte queste norme a
favore dei “creatori di lavoro”, la disoccupazione in questi anni è aumentata,
registrando il suo massimo storico per quella giovanile.
Certo, pensare al lavoro
come a un “posto”, quasi si trattasse di una poltroncina di un teatro, non
aiuta un corretto modo di intenderlo. Induce a credere, quasi inconsciamente,
che il lavoro sia un luogo fisico, che quindi possa essere “costruito” come una
cosa: eppure il lavoro non è una cosa, ma una attività umana, ovvero una
relazione tra cose; però non una relazione qualsiasi, bensì tale da essere
predisposta secondo scopi umani. È una differenza ontologica non secondaria.
Perché se il lavoro è una relazione e non una cosa la sua esistenza dipende da
un certo contesto preordinato e da un certo interagire tra gli individui
prolungato nel tempo. Se uno di questi fattori muta o scompare è possibile che
il lavoro come attività cessi di esistere, mentre le cose una volta create
continuano ad esserci indipendentemente da tutto il resto (a meno che un agente
esterno deliberatamente non le distrugga).
Se dovessimo considerare una concezione del
lavoro che possa piacere a Briatore e ai suoi simili, quella liberale, il
lavoro è il risultato dell’incontro di due variabili: la domanda (quella
dell’imprenditore) e l’offerta (quella del lavoratore). L’imprenditore mette a
disposizione del lavoratore i mezzi per produrre e gli corrisponde un salario,
in cambio terrà per sé una parte del ricavato (profitto). Come si può
facilmente notare non c’è in questa concezione, la più favorevole a quelli come
Briatore, niente che possa far pensare al capitalista come a un “creatore” di
lavoro. Per la stessa ragione per cui l’acquirente di un paio di scarpe o di un
chilo di pane non è il creatore delle scarpe o del pane. Dal punto di vista
fisico e materiale, in base a questa interpretazione, il creatore del lavoro è
il lavoratore stesso. Ma volendo estendere la definizione di “creare” a un
significato più sociologico, si potrebbe dire che il lavoro sia il risultato
dell’incontro di domanda e offerta. Ma anche in questo caso l’imprenditore non
crea alcunché, il lavoro è l’intersezione di due interessi diversi e
convergenti.
Questo secondo l’idea non di chi scrive ma
dei liberali. Qualcuno potrebbe obiettare che il lavoratore non potrebbe
lavorare senza che il capitalista gli metta a disposizione i mezzi di
produzione e un salario per vivere (o per sopravvivere). Ciò è in parte vero,
ma non ancora dimostra che sia il capitalista a creare lavoro. Infatti non
bisogna confondere la predisposizione delle condizioni per la creazione con la
creazione stessa: l’allevatore fa ingrassare l’animale, il macellaio seleziona
il taglio, ma è soltanto il cuoco a creare il piatto di bistecca alla
fiorentina. Senza la preparazione dell’allevatore e del macellaio quest’ultimo
non avrebbe potuto, certo, creare il suo piatto; ma resta il fatto che è lui, e
non gli altri, ad averlo creato.
Tuttavia, potrebbe insistere il nostro
critico, seppure egli non è il creatore autentico, resta il fatto che la sua
opera è indispensabile per la creazione stessa, dato che egli mette a
disposizione del lavoratore gli strumenti per lavorare. Quindi l’espressione
“creare lavoro” potrebbe essere intesa come “creare le condizioni per il
lavoro”.
Ma quali sono queste condizioni? I mezzi di
produzione e il salario. Cioè, in sostanza, il capitale. A questo punto però,
se si vuole essere onesti, bisogna portare l’indagine fino in fondo e
domandarsi da dove provenga il capitale. A tale domanda rispose già, nel modo
più completo ed elegante, Karl Marx. Marx distingue tra capitale costante,
costituito dai mezzi di produzione, e il capitale variabile, cioè i salari.
Dato che il capitale costante è, per definizione, costante, l’unico modo per
espandere il profitto o plusvalore è
ridurre l’incidenza del capitale variabile, cioè, in sintesi, far lavorare più
ore il lavoratore o, il che è lo stesso, abbassargli il salario. Al lavoro
necessario per produrre il proprio salario, infatti, il lavoratore dovrà
aggiungere un pluslavoro per
retribuire il capitalista.
Sono i lavoratori stessi a produrre il
capitale. Del resto, da cosa sono prodotti i mezzi di produzione se non da
altri lavoratori, siano essi tecnici e ingegneri o manodopera? In fin dei conti
si può pensare al lavoro senza il capitale, ma non si può pensare al capitale
senza il lavoro. Ribaltando la frase di Briatore, perciò, si può dire che non
sono i ricchi a creare lavoro, ma è il lavoro a creare i ricchi.
E allora perché una tale errata convinzione è
così diffusa nella nostra società? A questa domanda risponde sempre Marx
ricordandoci che le idee dominanti sono le idee della classe dominante, alla
quale appartiene Briatore. La classe dominante ha tutto l’interesse a pensarsi
e a farsi pensare come indispensabile e benefica. Essa deve in qualche modo
giustificare le immense ricchezze che ha concentrato ed è per questo che
asserisce – attraverso i media che possiede – che di una tale concentrazione c’è
bisogno per il bene di tutti.
E allora ecco che invece di dire che il capitalista
si appropria del lavoro, si dirà che egli lo crea! Invece di dire che il
lavoratore retribuisce i suoi profitti si dirà che egli retribuisce il
lavoratore! Invece di dire che non crea nessuna ricchezza ma la sposta soltanto
nelle proprie mani, si dirà che egli la produce!
E così i politici ridurranno loro le tasse,
perché così, dicono, ci saranno più investimenti, privatizzeranno perché così,
assicurano, ci sarà più efficienza, aboliranno le tutele dei lavoratori perché
così, promettono, ci sarà più lavoro. E gli elettori ci crederanno, temendo che
se non si facesse tutto ciò sarebbe il disastro.
“Bisogna attrarre i capitali esteri”: è
questa la più comune formulazione della frase di Briatore. Fare dell’Italia un
paradiso per ricchi di tutto il mondo non renderà l’Italia ricca; Non è migliorando
le finanze già eccellenti dell’1% che si migliorano le condizioni di vita dei
suoi cittadini. Esiste solo un mezzo che può essere adatto allo scopo e quel
mezzo è lo Stato, lo “spettro” più temuto. Non a caso sentiamo ripetere, da
quelli stessi che invocano la venuta dei capitalisti di ogni dove, che di esso
ci si deve sbarazzare.
*Pubblicato anche sull'Intellettuale dissidente
Immagine tratta da: https://socialhistory.org/en/news/marx-engels-papers-completely-available-online
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